Crescita zero
Perder tempo e aggravare le condizioni del Paese

I dati del Centrostudi di Confindustria sono gli stessi di quelli dei tempi in cui venivano contestati dal ministro per lo sviluppo Scajola. Un Pil al -0,1% indica crescita zero e con buona pace di tutti i governi che si sono succeduti dal 2011 al 2014, c’è poco da discutere. Semmai, la novità di quest’anno è che la stessa Germania rallenta e traballa persino il colosso americano che pur sembrava aver ripreso fiato. L’unico paese capace di guadagnare posizioni in occidente, è l’Inghilterra e non per caso. Gli inglesi hanno aggredito il mercato del lavoro in un modo - le zero hours - che solo a vederlo al buon Poletti verrebbe l’infarto, quando a Susanna Camusso si getterebbe dalla finestra. Si, a giugno la produzione industriale ha avuto un incremento dello 0,7%, ma questo è servito a limitare la contrazione nel 2° trimestre a -0,5%. Per cui anche se l’Ocse continua a prevedere non si sa quali progressi, Confindustia teme un nuovo ribasso, anche perchè il numero di imprese manifatturiere dal primo trimestre 2013 è calato dal primo trimestre 2013 ad oggi dell'1,2%, per cui davvero non si capisce come la produzione potrebbe incrementare. I prestiti alle imprese sono ancora calati a maggio e a giugno il 13,1% delle imprese non ha ottenuto il credito richiesto, in pratica il doppio delle imprese rimaste insoddisfatte nel 2011. Attenzione anche allo spread che è tornato a salire a 162 punti in Italia da 132 che era, peggio persino di quello spagnolo 142 da 120. Un altro ostacolo alla timida discesa dei tassi pagati dalle imprese italiane che potrebbero essere in grado di aiutare la risalita dei prestiti. Il governo ha dato qualche segnale in questi mesi di preoccupazione per un quadro che sembra disperato. E si comprende in quanto la situazione complessiva dell’economia italiana, è aggravata dal debito. Se non riesci a ridurre il debito con la crescita, che come si vede rimane assente e nemmeno si cerca di rilanciare magari recuperando soldi con delle dismissioni e investendoli, cosa di cui si parla sempre senza costrutto, puoi sempre provare con le riforme. Abbiamo visto la grande riforma del governo al Senato, in un giorno sono riusciti a votare tre emendamenti degli ottomila presentati. E’ tutto vero: sono i senatori che vogliono difendere i loro residui privilegi dagli intenti innovatori dell’ottimo Renzi. Solo che, forse, così come non c’è stato governo capace di muovere una leva economica con una qualche perizia da vent’anni almeno a questa parte, per quale motivo ora dovrebbero essere i senatori a convincersi che è colpa loro il danno del paese? Anche perché i dati dicono altro, ovvero che le amministrazioni locali costano di più e aumentano il deficit in maniera decisiva sula bilancia del costo del sistema. Il Capo dello Stato, attonito per quanto sta avvenendo, è intervenuto direttamente in soccorso degli intenti del governo. Se si vuole cancellare il Senato, si cancelli, il Senato, una Repubblica può benissimo avere una sola Camera, lo sappiamo dai tempi di Sieyés. Solo che a guardar meglio la Riforma, non si cancella il Senato, gli si diversificano invece le competenze e lo si dota di un potere di interdizione locale che non rafforzerà le decisioni del governo. Pensate cosa accadrebbe, se perso tutto il tempo a disposizione di Renzi per varare la riforma del Senato, questa aggravasse, invece di migliorare la condizione del paese.

Roma, 24 luglio 2014